Contrordine, torna la concertazione. Quella brutta parola del passato che i rottamatori dicevano di aborrire, e che riassumeva il dialogo preventivo con le confederazioni sindacali sui temi sociali sensibili, sembra tornata in auge, o almeno è tornata in prima pagina. “Incontro governo sindacati, scrive il Corriere, aperti due tavoli di confronto: Pensioni minime, si cambia”. E Repubblica: “Pensioni, così la riforma. Disgelo governo sindacati. Sì alla flessibilità. Renzi promette più soldi alle minime”. Le segretarie confederali, Camusso e Furlan, stentano a credere a quel che sentono e a quel che vedono. Stefano Folli, su Repubblica, si spinge fino a ipotizzare un ravvedimento operoso del premier: “Renzi – scrive – abbandona i toni polemici per ricucire a sinistra”.
Se lo fa, lo fa nascondendosi dietro un diluvio di parole, diffuse a reti unificate. Perché nella narrazione del leader unico, del comandante in capo che difende il popolo contro tutte le élite sono sempre gli altri che fanno marcia indietro e che vengono a Canossa. Così a Enrico Letta che gli aveva chiesto di non accendere “un clima da corrida” sul referendum, Renzi risponde: “sei stato un anno al governo e le riforme non si sono fatte”. Poi accusa il povero Bersani di aver trattato con Denis Verdini, al quale peraltro Renzi dice di dover essere grato, “perché – spiega – se avessi aspettato i voti dei 5 Stelle per le unioni civili, stavo fresco”. Ancora, indossata la casacca di segretario del Pd, il premier stende la Raggi e gli altri candidati sindaci dei 5 stelle: “Co-co-pro della Casaleggio associati”, dice. Alla Lega ci pensa Napolitano. “è xenofoba”. Nel frattempo Renzi recluta chi non può più dirgli “grazie no” nei suoi comitati per il Sì, Pietro Ingrao, Nilde Iotti, Calamandrei, pure Dossetti. Davanti a tale impudicizia, Bersani ha uno scatto di genio e gli chiede: “perché non recluti pure Lenin contro il bicameralismo, in fondo diceva: Tutto il potere ai soviet!”
Il jobs act è la cosa più di sinistra che si sia fatta. Su questo Matteo non si emenda, nonostante quella legge abbia tolto diritti senza portare lavoro. Nonostante lo scontro sia diventato europeo: “Francia paralizzata dalle proteste”, titola La Stampa. “Rivolta contro il jobs act, raffinerie occupate” fa eco il Corriere. La ragione è che contro i creditori non si scherza. E sono i creditori, Fondo Monetario, Europa e Banca Centrale, gli stessi che hanno umiliato la Grecia e ora discutono se darle una boccata d’aria perché non rantoli, a imporre a tutti i governi della Terza Via, governo Renzi compreso, una politica sociale e una politica economica ultra liberiste. Ieri ho fatto una chiacchierata con l’Annunziata, direttore di Huffinghton Post italia, per il prossimo numero di Left. Sostiene Lucia che Renzi impara da Grillo, che usa la politica, usa Palazzo Chigi, una il sostegno dei media, ma li usa per scardinare le élite, per emanciparsi dall’establishment. Così è, o meglio così appare che sia. Fino a quando gli uomini dell’establishment sono sindacalisti, senatori, presidenti di regione. Perché quando invece l’establishment è quello dei banchieri internazionali, di chi muove i fondi di investimento, o dirige le multinazionali, allora il nostro eroe smette i panni da rottamatore e veste quelli di un Tony Blair qualunque. Uno yes man della Terza Via, che a forza di dire sì ai veri potenti rischia persino di finire sotto processo per quei sì. In Gran Bretagna Blair è sotto accusa per la partecipazione alla guerra di Bush nonostante sapesse che Saddam non aveva armi di distruzione di massa. Ancora paghiamo per quella guerra.
Torniamo ai giornali, il manifesto titola “Tutto fumo” parlando dell’accordo di Parigi sul clima. Perché i principali paesi del G7 continuano a sfruttare il carbone, il più inquinante dei fossili. Il fatto Quotidiano fai i conti dei tempi TV: tutti per il Sì al Renfendum pro-Renzi, “Per il No un minuto in tutto”. Ah in Francia, oltre a manifestare da giorni contro il loro jobs act, hanno perquisito le sedi di Google, multinazionale che non disdegna di evadere le tasse.