I gufi sono il settanta per cento. Proprio così: il 72% degli italiani ritiene che l’occupazione in Italia “non sia ripartita”. Il 68 che sia aumentato il fenomeno del lavoro nero, il 73 che ci sia oggi più precariato. Quanto al jobs act, per il 32% ha peggiorato la situazione del lavoro, solo per il 6 l’ha migliorata mentre un 39% pensa che sia troppo presto per dirlo. E per i giovani? Il 67% vede nero: il futuro sarà peggiore, per il 19% non sarà migliore dell’oggi. Dati offerti dal sondaggio Demos Coop, illustrati per Repubblica da Ilvio Diamanti. Matteo Renzi ha così scoperto che l’Italia è un paese di Gufi. Inutile scapicollarsi a Reggio – foto con i bronzi di Riace – per ripetere: “L’italia riparte”. Controproducente la furtiva apparizione alla stele che ricorda a Palermo il massacro di Pio La Torre e Rosario Di Salvo per dire, come un qualunque politicante dell’area grigia: “La Mafia unisca e non divida”.
Divise, eccome, la relazione La Torre che la Commissione anti mafia ha appena deciso di ripubblicare. Fu relazione di minoranza 40 anni fa, e faceva scandalo perché invece di prendersela con i killer “brutti sporchi e cattivi” – ancora oggi c’è chi, nel Pd, si preoccupa di caricarli di ergastoli, come se uno non bastasse – denunciava Gioia, Ciancimino, persino Lima, siciliani eccellenti che gonfiavano di tessere le correnti della Dc e di voti il partito al governo. Ma questo questo Pippo (Renzi) non lo sa. La sua “democrazia recitativa” – Stefano Rodotà, Repubblica – è riservata “a un ristretto numero di personaggi”, presuppone un uditorio disinformato e ha bisogno del sistema dei media. Ieri però è stato un giorno storto per il presidente del consiglio e segretario del Pd. Diamanti gli ha rubato la scena, distruggendo, per il primo maggio, la narrazione del lavoro che riparte, Leoluca Orlando ha commemorato La Torre dicendo che la mafia siciliana si occupa ormai solo di acqua, rifiuti e petrolio e che in questo è spalleggiata dagli alleati confindustriali del premier e dei suoi vicerè in Sicilia (Faraone e Crocetta). Questo Orlando, che non si è ancora rassegnato a farsi rottamare! Confindustria Sicilia annuncia che lo querelerà e lo chiama ripetutamente Orlando Cascio, con il doppio cognome del padre. Anche questa è una citazione: il politico-mafioso Vito Ciancimino chiamava proprio così Leoluca, Orlando Cascio, con il doppio cognome del padre, avvocato e proprietario terriero, messo in cattedra dagli alleati, i quali – si sa – furono assai disinvolti con la mafia. Un modo mafioso per dire: da che pulpito viene la predica.
L’impostura di una imprenditoria “che si è presentata nel 2005 per fare una rivoluzione nell’isola e si è rivelata come un pericolo”. Questa impostura la denuncia su repubblica Attilio Bolzoni e fa due nomi : “Uno è Antonello Montante, presidente delle Camere di Commercio siciliane e fino a due giorni fa delegato nazionale per la legalità di Confindustria indagato per reati di mafia. L’altro è Ivan Lo Bello, presidente di Unioncamere e anche della Camera di Commercio di Siracusa, indagato per associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze”. Costoro, accusa Bolzoni, hanno creato “Una dittatura degli affari che ha soffocato tutto e tutti”. Petrolio, acqua, rifiuti. Quando Leoluca Orlando parla di petrolio, è possibile che pensi agli interessi difesi da Gianluca Gemelli, ex “marito” della ministra Guidi e protetto di Ivan Lo Bello. Quando parla di acqua, è possibile che si riferisca allo stop imposto dal governo Renzi a una legge sull’acqua pubblica, in una regione, la Sicilia, nella quale la mafia ha cominciato proprio gestendo i pozzi. Quando parla di rifiuti, è possibile che il sindaco di Palermo abbia in testa il vice presidente di Sicindustria, Catanzaro, che controlla le discariche. Rosy Bindi ha convocato Orlando in Antimafia; lo sentiremo.
Lavoro e mafia. L’altro ieri a Palermo ho preso parte a un’iniziativa della Fillea Cgil sulle imprese requisite alla mafia. L’Ati Group, per esempio, è stata sequestrata nel 2000 ma la confisca è arrivata solo nel 2013. Intanto l’amministratore aveva ceduto in affitto i contratti, e ogni attività s’era bloccata: solo ora si chiede ai lavoratori, senza lavoro e senza stipendio, di riunirsi in cooperativa, ora che le casse sono vuote, non ci sono commesse, né niente. Così la mafia può gridare: vedete? “Con noi si lavorava” – per forza, al mafioso nessuno negava commesse né le banche finanziamenti – “con lo Stato si muore di fame”. Non sempre è così: i dipendenti del supermercato Olimpo hanno rinunciato alla cassa integrazione, hanno usato i soldi della “mobilità” per costituire il capitale sociale, hanno lottato per ottenere in affitto i locali – che facevano gola ai palazzinari -, si sono costituiti in cooperativa e ora lavorano. Però non basta. Lo stato, mi disse Scarpinato, dovrebbe attribuire commesse per lavori di pubblica utilità alle imprese ex mafiose. Che so, fare abbattere da una ditta confiscata il grosso delle ville abusive sulla bella collina sopra Palermo lasciandone una parte minore per accogliere chi ha bisogno urgente di un tetto. Al mafioso si potrebbe allora rispondere: hai visto? “Si può lavorare anche con lo Stato. Per cancellare le brutture della mafia e aiutare chi ha bisogno”. Ma Pippo Pippo non lo sa e quando parla di mafia a Palermo ride tutta la città.
Ps Pippo non lo sa, ma quando passa ride tutta la città, è il verso di una canzone composta nel 1939 e forse ispirata dal gerarca Achille Starace che girava, tronfio, in camicia nera: “si crede bello come un Apollo e saltella come un pollo”. In fondo dissenso affettuoso, che stigmatizza più le forme che l’essenza del regime. Spero mi sarà perdonata la citazione.