Intercettazioni non si cambia, scrive il Corriere. “Renzi sfida le toghe: lavorate di più”, fa eco la Stampa. Va in pagina il contrordine di Palazzo Chigi. Con il referendum sulle trivelle domenica, il caso Guidi ancora fresco di petrolio, i sondaggi di Ilvo Diamanti che dimostrano come l’Italicum sembri fatto apposta per favorire la convergenza dei voti al ballottaggio (tra 5 Stelle e Lega) contro l’attuale premier, e ormai in vista il referendum costituzionale, quello che “se lo perdo – ha detto Renzi – smetto di far politica”, è meglio non andare a testa bassa contro le toghe. La suggestione del bavaglio alle intercettazioni non è morta: la ripropone, per Repubblica, il ministro NCD Costa, mentre Felice Casson spiega al Fatto come il cavallo di troia si trovi nella proposta di riforma del processo penale, sotto forma di una delega al governo sulle intercettazioni; “quasi incostituzionale” lamenta Casson perché del tutto generica. Per ora Renzi ha altre gatte da pelare e già Stefano Folli “prevede” che cambiarà l’Italicum, non subito che perderebbe la faccia, ma dopo il referendum d’ottobre.
In cella 500 minori a rischio jihad, è invece il titolo forte di Repubblica che promuove un libro del procuratore antimafia Roberti, scritto con un giornalista di Repubblica. Il titolo muove dalla constatazione che nelle nostre carceri minorili un recluso su due è musulmano. La suggestione viene dalla Francia degli anni 90, quando finivano in carcere frotte di giovani magrebini dediti allo spaccio e al piccolo crimine, si confrontavano con un sistema giudiziario spietato, nel quale essi non sapevano difendersi dalle bande dei corsi o dei marsigliesi – si veda il film “Il profeta”- e l’unico che parlava con loro era l’imam, pagato dall’Arabia Saudita e ammesso in carcere in nome della libertà confessionale. Quegli imam hanno reclutato centinaia di jihadisti per mandarli a combattere in Bosnia, nelle repubbliche post sovietiche, in Afghanistan e poi in Algeria con il GIA, gruppo islamico armato. Le nostre carceri non sono quelli francesi, il principio della rieducazione, magari male, ma vige, la nuova generazione jihadista rompe con i genitori (musulmani) che con il “sistema” e più che il carcere è il viaggio nelle terre del Daesh che prepara il salto senza ritorno. Ma è giusto fare attenzione.
Volevano colpire Parigi durante gli Europei, “la rivelazione di Abrini”, sempre Repubblica. Questo Abrini sarebbe l’uomo con il cappello, ripreso dalle telecamere dell’aeroporto di Bruxelles. Piccolo delinquente e amico di Salah – il kamikaze pentito dello Stade de France -, lo avrebbe aiutato e ospitato durante la sua lunghissima e incredibile latitanza. Sia Abrini che Salah sono tuttora vivi, gli unici sopravvissuti – mi pare – della super cellula franco-belga, entrambi dopo l’arresto starebbero “collaborando”, quanto sarebbero stati terroristi determinati e inafferrabili durante 4 lunghi mesi di latitanza, trascorsi, a quanto pare, a due passi dalle loro case. Vi torna? Non vorrei che, presi dopo il 13 novembre, fatti collaborare – potrebbero aver portato le forze dell’ordine nel covo di Saint Denis -, siano stati poi rimessi in giro per eliminare le cellule jihadiste di Bruxelles. Qualcosa potrebbe essere andato storto e ci sarebbero scappate altre due stragi. Tutti i morti tranne quei due.
Qualche proposta (irrituale) per l’Europa. La prima di Piketty, Repubblica: “Se quattro Paesi – Francia, Germania, Italia e Spagna – che insieme rappresentano più del 75% del Pil e della popolazione dell’eurozona, proponessero un nuovo Trattato fondato sulla democrazia e la giustizia fiscale, con una misura forte come un’imposta comune sulle grandi società, gli altri Paesi sarebbero obbligati a seguirli – a meno di chiamarsi fuori dallo sforzo di trasparenza che l’opinione pubblica reclama da anni, esponendosi a sanzioni”. La seconda. sul Corriere a firma di Oskar Lafontene, Stefano Fassina e Fabio De Masi: “La Bce dovrebbe modificare la sua linea di azione e stimolare direttamente l’economia finanziando gli investimenti invece delle bolle finanziarie”, insomma un quantitative leasing per i redditi più bassi anziché per le banche. Altrimenti – dicono i tre – all’Europa del sud non resta che recuperare “il controllo della politica monetaria. Ciò richiede un ritorno alla possibilità di svalutare e rivalutare le monete nazionali, nel quadro di un rinnovato Sistema monetario europeo”. Proposte diverse, con implicazioni tutte da studiare, ma è importante discuterne.