Sbarca il premier, scontri a Tripoli, Corriere. “Si spara sul governo dell’ONU”, Repubblica. Prima ancora di insediarsi, dunque, il governo Serraj corre il rischio di apparire uno dei tanti governi “fantoccio” inventati dall’occidente, dal Vietnam in poi: lo ha scritto Paolo Mieli, sconsigliando ogni intervento militare italiano. “Renzi non ci porterà a fare la guerra in Libia neppure se gli puntano la pistola alla tempia”, assicurava ieri un senatore renziano, che un tempo era stato dalemiano, forse suggerendo la superiore astuzia del premier attuale (perché D’Alema disse sì alla guerra dei Balcani e mal gliene incolse). La Stampa, che ieri aveva parlato di “intervento militare” oggi ridimensiona: “Libia, pronti gli addestratori italiani”. Dunque, bombardamenti, supporto logistico, istruttori ma non 5mila soldati italiani inviati a “pacificare” le tribù in guerra. Secondo il Fatto: “Per Renzi è l’ora della verità: dovrà dire a Obama che intervento farà in Libia”. Il giornale di Travaglio collega alla crisi libica anche lo scontro Italia Egitto, per le vergognose menzogne su Regeni. Non ha torto: al Sisi sostiene il generale Haftar, nemico del “governo” Serraj, ultima speme o “fantoccio” della “comunità internazionale”. Qualche servizio televisivo, ieri sera, alludeva alla possibilità che il governo italiano usi la vicenda Regeni per “piegare” Al Sisi-Haftar. Secondo me, sono solo chiacchiere di palazzo, vulgata renziana ma disinformata, perché l’amato premier si confessa pochissimo con i suoi. Conviene attendere. Magari quel dibattito in Parlamento che Costituzione e Democrazia imporrebbero ma si continua rimandare.
Dico la mia. Colpire l’Islamic State si deve, perché è la fonte a cui si abbevera ogni occidentale sradicato e in crisi di identità che insorge sparando contro il nostro lifestyle, ma anche contro libertà e diritti. Perché – come ormai è evidente – il viaggio iniziatico nelle terre “liberate” dal Daesh serve a trasformare il convertito in kamikaze, tagliandogli dietro ogni via del ritorno, nel mondo di noi che restiamo umani. E colpire l’Is – inutile girarci intorno – vuol dire muovergli guerra. La guerra che curdi, iraniani, alawiti di Assad, truppe di Bagdad, con l’aiuto dei bombardamenti russi, stanno conducendo da Palmira a Ramadì. La guerra che alcuni eserciti africani – non so quanto rispettosi dei diritti e dell’umanità – pare stiano vincendo contro Boko Haram. Rifiutare ogni aggressione imperialista, dire no alla logica affari che portano in guerra e guerre che favoriscono gli affari, ripetere che la soluzione alle crisi e alle guerre civili la devono trovare i paesi e le popolazioni squassate da quelle guerre civili, tutto ciò non somiglia al pacifismo radicale. Anche se somiglia ancor meno alla politica dell’Occidente in Africa, in Medio Oriente e persino nei Balcani. Il mio No a un intervento militare italiano per “pacificare” le tribù libiche, per rendere sicuri i pozzi dell’Eni e “fermare” il traffico dei migranti, non è dunque pacifismo assoluto. È il rifiuto di un’avventura che ci porterebbe a un’occupazione coloniale duratura o a una vergognosa disfatta come quella del Vietnam. Un’ultima cosa: se il generale-presidente al Sisi non è in grado di ammettere che Giulio Regeni è stato massacrato da gente che agiva in suo nome, allora non vale nemmeno la pena di tollerarlo. Perché non sarà mai “il male minore”, ma diventerà presto attore dello sfascio come è accaduto a Mubarak, Saddam Hussein, Ben Alì e anche ad Assad, che è tuttora in sella solo perché l’Occidente ha lasciato che gli alleati, sauditi e turchi, sostenessero il “male assoluto” cioè l’Is, consentendo così a Putin di tornare protagonista in Medio Oriente.
Povero Hollande, rien ne va plus. Il presidente francese ha dovuto rinunciare alla déchéance de nationalité per i sospetti terroristi, misura promessa all’indomani dagli attentati del 13 novembre come offa alla destra e al Front National. Un pasticcio. Toglierla solo agli immigrati dal Maghreb, che in Francia hanno tutti la doppia nazionalità, francese e algerina e via dicendo? In questo caso sarebbe diventata una misura ad personas, diretta contro un preciso gruppo etnico, in palese violazione della parità dei diritti. Oppure si sarebbe dovuto trasformare ogni francese sospetto verso la condizione dell’apolide, del senza patria, senza nazione? La camera, Assemblée nationale, ha approvato il provvedimento in questa seconda versione, il Senato nella prima. L’una e l’altra camera hanno inteso scaricare il loro presidente nel quale, evidentemente, non credono più. Hollande ha dunque dovuto dire addio alla promessa modifica della Costituzione e Le Monde oggi parla di “fiasco politique”, lamenta le “63 ore di dibattito parlamentare per nulla” dice che sono costate al contribuente un milione di euro, registra “A gauche, le rejet massif de François Hollande”. Rien ne va plus!
Last but not least, il referendum sulle trivelle. Michele Ainis svolge, per il Corriere, alcune giudiziose osservazioni sulla posto in gioco. Primo, uno scontro fra poteri: sull’energia “secondo la Costituzione vigente, decidono insieme lo Stato e le Regioni; secondo la Costituzione prossima ventura, deciderà solo lo Stato. E allora ecco, puntuale, la reazione”, delle regioni. Secondo: “ogni occasione diventa altresì un pretesto per regolare i conti all’interno del Pd”. Eh già! Terzo: “il nostro ordinamento contempla, da una parte, il dovere civico del voto, dall’altra parte, concepisce il voto come diritto, e i diritti non sono obbligatori. Tuttavia due norme in vigore (l’articolo 98 del testo unico delle leggi elettorali per la Camera; l’articolo 51 della legge che disciplina i referendum) castigano l’astensione organizzata da chiunque sia «investito di un pubblico potere» con pene detentive (da 6 mesi a 3 anni)”. I vice segretari del Pd rischiano il carcere? Divertente. Quarto: “il risvolto ambientale. Dovrebbe essere al centro della consultazione, ed è così, quantomeno a parole”. Ma osserva, secondo me non a torto Michele Ainis, i governi regionali, per essere credibili, dovrebbero occuparsi di ambiente anche quando “allevano colibatteri nelle acque dell’Adriatico, disinteressandosi dei depuratori così come di controllare i fiumi”.