Il ritorno di Lula infiamma il Brasile, Il Corriere della sera titola come i principali giornali del mondo. I fatti li ho raccontati ieri sera per Left-on-line: un giudice accusa l’ex presidente del miracolo brasiliano di corruzione e riciclaggio. Dilma Rousseff lo chiama al governo, sia perché ne ha bisogno – il Brasile è in recessione, il prestigio di Lula può servire -, sia perché così Inacio Lula da Silva passa sotto la giurisdizione del tribunale dei ministri e si salva da un arresto che pareva imminente. Ma una telefonata tra i due, “hai la nomina, usala” dice Dilma, intercettata, viene data in pasto a giornali e televisioni. In Parlamento parte la richiesta di impeachment della presidente per ostacolo alla giustizia, lei denuncia un “golpe giudiziario”, un magistrato blocca la nomina di Lula, le piazze si riempiono di manifestati contro i due presidenti, scontri con chi difende, ricordando che 40 milioni di brasiliani poveri facevano una vita da topi e sono diventati protagonisti in un nuovo Brasile. Penso che la corruzione vada perseguita e che, se i leader del Partito dei Lavoratori, l’hanno considerata un fattore secondario rispetto a tutto ciò che stavano facendo per il loro paese, beh, hanno sbagliato e fa bene la giustizia a perseguirli. D’altra parte non mi nascondo che la crisi politica nasce dalla recessione gravissima: il prezzo delle materie prime che il Brasile esporta precipita, il rallentamento cinese deprime l’economia. Ed è evidente che la borghesia tenti la rivincita, voglia tornare nell’orbita di Wall Street: deprimere i salari, massimizzare i profitti, Quanto ai giudici brasiliani, i loro metodi sono ben più spregiudicati di quelli di Di Pietro.
Fare chiarezza sul futuro dell’eurozona, lo ha detto Mario Draghi durante i lavori del Consiglio Europeo su immigrazione e Turchia. Ha così avvertito i capi di stato che nella tenaglia bassa crescita e deflazione il bazooka della BCE non può bastare. “Mentre la Federal Reserve stampava denaro – spiega Morya Longo – lo Stato faceva la sua parte aumentando il deficit pubblico dal 2,8% di fine 2007 al 12,4% del 2009”. E, aggiungo, Obama orientava gli investimenti verso ricerca ed energie alternative. Invece l’Europa e l’euro rischiano di essere cancellati dagli errori dell’Occidente – in Siria e in Libia – che hanno accelerato e reso ingestibile il flusso migratorio, e dall’assenza di un governo politico dell’Eurozona. Renzi, che tra i governanti europei dovrebbe essere tra i più consapevoli – visto che l’Italia, con il suo debito rischia di più – non va oltre la proposta di un baratto: più flessibilità (cioè chiudere un occhio sullo sforamento dei criteri di deficit e debito) in cambio di una nuova ondata di privatizzazioni (la Stampa, pagina 2). Invece bisognerebbe chiedere una politica fiscale comune, eurobond, investimenti comunitari, un ministro per coordinare le politiche.
Tutti i democratici con la Clinton? Una conversazione privata, una voce dal sen fuggita, il presidente Obama, che non ha appoggiato ufficialmente il suo ex segretario di stato, avrebbe fatto sapere che è ormai ora che tutti i democratici la sostengano. Sanders ha risposto: no, grazie. Confermando di voler portare la sua candidatura fino in fondo perché – spiega – è indispensabile che siano protagonisti della corsa presidenziale i tanti americani che si sentano rappresentati anche quelli della sua “rivoluzione”: giovani, ceto medio colpito dalla crisi, poveri. Ragionamento che si fonda su qualche dato. Gli stati Uniti dovrebbero crescere quest’anno del 2,6%, l’ inflazione è bassa, non c’è deflazione: le cose vanno dunque meglio in America che in Europa. Tuttavia già due anni fa il 20 per cento dei ricchi americani possedeva un reddito 5,2 volte superiore al 20 per cento dei poveri. E i bianchi ricchi, 10 volte di più dei neri poveri. É parere condiviso che tali disuguaglianze si siano ancora accentuate e che minino la coesione nazionale, scoraggiando il ceto medio e svuotando il sogno americano. La campagna e le proposte di Sanders – college gratuito, copertura sanitaria universale, redistribuzione della ricchezza – provano a portare sotto i riflettori questo vissuto degli Stati Uniti. Così facendo provano a spostare a sinistra l’intero partito democratico.
Sanchez chiede a Tsipras di mediare con Iglesias. A tre mesi dalle elezioni politiche la Spagna è senza governo. Il socialista Sanchez ha ottenuto il sostegno di Ciudadanos, movimento che vuol rinnovare la destra, ma non quello di Podemos dove – dice El Pais – infuria la guerra interna tra Iglesias ed Errejon. I sostenitori di Errejon sarebbero favorevoli a concedere l’astensione di Podemos perché Sanchez formi il suo governo, che nonostante l’ipoteca di Ciudadanos – dicono – sarebbe comunque “un cambiamento” rispetto all’esecutivo Rajoy. I sostenitori di Iglesias sostengono invece che “Podemos si dissolverebbe in 10 ore”, qualora decidesse per l’astensione, tanto forte sarebbe lo scarto tra le proposte del movimento e l’impronta moderata e neo liberista del governo. La Spagna cresce la disoccupazione scende, ma il PIL è ancora del 4,1% più basso rispetto al 2008 e le assunzioni hanno riportato al lavoro solo il 30% di quelli che erano stati sbattuti in strada dalla crisi. Mentre i salari restano decisamente più bassi di prima. Il problema di Podemos è tutto qui.
Tra Verdini e trivelle. Il manifesto chiama il Pd “la banda del buco”, dopo che i due vice segretari, Guerini e Serracchiani, han detto che i soldi per il referendum no-triv sono soldi sprecati e che il partito deve astenersi (e dunque fare fallire il referendum). Speranza protesta, Renzi gli dà appuntamento in Direzione dove può decidere ciò che vuole. Emiliano, che aveva appoggiato il referendum, non è contento. Il Corriere titola: “Verdini, lite sulla condanna”. Lite nel Pd, con la minoranza che dice “vedete con chi vi alleate?”. Il segretario e premier ha risposto che si tratta di una condanna per corruzione, ma solo in primo grado, e che non cambia niente. Il governo non cadrà per questo, scrive Stefano Folli su Repubblica, ma poi scrive di ritenere possibile “che il caso Verdini accentui fenomeni di logoramento dell’esecutivo a cui Renzi dovrà porre rimedio”.