Sfascisti! Il Giornale della famiglia Berlusconi bolla Meloni che si candida a Roma e Salvini che intende contrapporre un suo amico notaio al candidato “unitario” per Torino. Del voto amministrativo non gliene frega niente a nessuno. La vera missione di Sala, il mister Expo che ora teme sia l’astensionismo record che di perdere pezzi a sinistra, è quella di ricomprendere nel Partito di Renzi l’esperienza municipalista di Pisapia. Giachetti e Valente servono a Orfini per dire alla minoranza Pd, ai “vecchi” Bersani e Bassolino, che non c’è trippa per gatti, che non avranno altro leader se non il rottamatore, Meloni deve riacciuffare Storace e altri ex missini per diventare, insieme a La Russa, l’erede della destra post fascista, Salvini vuol mostrare al suo mondo il niente che è ormai rimasto sotto il vestito Berlusconi: per conquistarsi la candidatura ad anti Renzi in vista del ballottaggio con l’Italicum. D’altra parte Airaudo e Fassina scommettono di poter mostrare che c’è vita a sinistra del Pd e a destra di M5S, De Magistris, se confermato sindaco, proverà a lanciare un’Opa su Sinistra Italiana e Possibile, Casaleggio cerca con la Raggi un obiettivo intermedio sulla strada di un Di Maio che si candidi alle politiche e superi il primo turno. Poi tutto può succedere.
Quando l’Italia (di Renzi) si annoia. Sì, faccio il verso a un celebre titolo di Le Monde nel marzo 1968: poi scoppiò il maggio francese. Ma non saprei come commentare altrimenti la performance in cui si è prodotto, ieri al Senato, il primo ministro. Ha svolto un intervento sulla politica estera che ha quasi del tutto ignorato la partita che si potrebbe giocare già dal prossimo vertice europeo: Aiuti alla Turchia ma a quali condizioni? Che fare con la Grecia alle corde per i colpi dell’immigrazione e per il memorandum che le impedisce di risollevarsi? Richiamare l’Italia perché sforerà – è inevitabile vista la bassa crescita e la deflazione – i parametri su deficit e debito? Renzi si è lanciato invece in un elogio della propria politica, di tutto ciò che ha fatto finora il governo, sostenendo che solo la sua politica e l’Italicum potranno salvare l’Europa. Nella replica, dopo aver ascoltato poche critiche ma neppure gli applausi a scena aperta che forse si attendeva dai morituri senatori, ha provocato la rissa in aula con Scilipoti, con un Carneade della Lega e una dei 5Stelle. Renzi si annoia e solo un corpo a corpo – con vittime designate – può svegliarlo, può fargli svoltare la serata. Autostima, culto della personalità, stanchezza per aver asfaltato ogni avversario, fastidio per quel rumore nelle orecchie che origina dai caporali senza qualità che ha intorno e dagli imbucati dell’ultima ora. La politica in Italia è Renzi e Renzi è stanco e annoiato. Le opposizioni hanno detto tutto e niente, nonostante un assist glielo avesse offerto l’Istat. Nel gennaio 2016 sì è registrata una diminuzione del 58,1% delle assunzioni a tempo indeterminato rispetto allo stesso mese del 2015. Ridotti gli incentivi, gli effetti positivi del jobs act si stanno dunque sgonfiando. E si comincia a fare i conti: le aziende hanno ricorso a quegli aiuti di stato per definire, nel corso dell’anno, un milione e mezzo di contratti, molti più del previsto. Vuol dire che i 2 miliardi investiti dal governo non basteranno. Invece i voucher, buoni per lavori occasionali e super precari, sono aumentati del 36% nell’anno.
Brevi dal mondo. Complice – immagino – la traduzione, Repubblica ha scoperto il giorno dopo la polpetta avvelenata che si nascondeva nell’intervista ad Al Sisi. Attenti, ha detto il rais egiziano agli “alleati” italiani, se entrate in Libia senza sapere come uscirne – senza exit strategy – finirete impantanati come in Somalia. Al Sisi vuole che l’Italia appoggi il generale Haftar, che si oppone agli accordi tra Tobuk e Tripoli per un governo di coalizione. Poi ci penserà Haftar, con armi nostre e nostri bombardamenti aerei, a scovare e uccidere i miliziani dell’Isis che dalla Siria-Iraq si stanno trasferendo in Libia. In Brasile Lula, accusato di corruzione e riciclaggio, entra nel governo di Dilma Rousseff: la proteggerà dai venti di crisi, il Brasile è in recessione, grazie alla sua, ancora grande, popolarità e proteggerà se stesso, grazie all’immunità, di essere arrestato. In Spagna non passa giorno che El Pais, giornale progressista, non attacchi Podemos. La ragione è il no che Iglesias ha opposto alla furbizia di Sanchez, il quale, incaricato di formare il governo, ha prima chiuso un accordo con Ciudadanos, formazione che vuole rifondare la destra spagnola, poi ha preso a ricattare Podemos, se non mi appoggiate sarete colpevoli di aver impedito “il cambiamento” e di nuove elezioni a giugno. Iglesias, ribatte di volere un governo di sinistra e autonomista – i numeri ci sarebbero ma risicati – e sta passando come un caterpillar sui dubbi all’interno di Podemos, fino a destituire il numero 3, il segretario organizzativo Sergio Pascual.