La morte delle studentesse Erasmus, Corriere. Gita da Barcellona e Valencia, vecchio pullman, un solo conducente che si assopisce alla guida, disastro. Obama abbraccio a Cuba, “Qui con voi con la storia”, Repubblica. Ne ho scritto già ieri sera, nella notizia per Left. Boschi, mozione di sfiducia M5S e Lega, perché il padre è indagato per bancarotta. Ora io non vedo perché le colpe del padre bancario debba pagarla la figlia ministra, pretenderei però una pubblica ammenda per l’incauta difesa del Boschi senior fatta in Parlamento e che il governo si costituisse parte civile contro chi ha truffato i risparmiatori. Questo salta agli occhi scorrendo i giornali del primo giorno di primavera. Vi parlerò d’altro.
Il referendum antipolitco, è il titolo di un “pezzo” di Ilvo Diamanti, Repubblica, dove si spiega che Renzi ha bisogno di legittimazione politica per tutto quello che ha cambiato e sta cambiando nella costituzione stessa della nostra democrazia. É il primo a saperlo e punta sul referendum confermativo per ottenere un successo che presenterà come un sì a tutta la sua politica. Lo vincerà? Diamanti ci spiega che “a favore della riforma costituzionale” oggi si dice un 50% dei sondati. Una maggioranza che sale al 60% tra coloro che si dicono sicuri di andare al voto. E va aggiunto che tale maggioranza è trasversale: direbbe sì il 64% degli elettori di Forza Italia, e il 54% di quelli di M5S, oltre al 73% del Pd. Dunque il premier ha la vittoria in tasca? “Il vero rischio per Renzi – scrive Ilvo Diamanti – è che il significato della consultazione si rovesci. E da costituzionale e antipolitica si trasformi davvero in un referendum sulla sua figura e sulla sua leadership. Una sorta di competizione elettorale bi-partitica e bi-personale. “Pro” o “contro” di lui”. Insomma, che si capisca la verità della cosa!
Ultima occasione in Italia per una sinistra moderna, ne scrive Paolo Franchi. Parte da un’intervista di Otto Schilly, che è stato ministro della SPD: “La narrativa della perequazione sociale non funziona più, i concorrenti sono troppi. Non solo la Linke, ma in parte anche i Verdi, e persino la Cdu–Csu ci contendono questo terreno”. Vero! Le disuguaglianze sono diventate così enormi durante la Lunga Recessione, che tutti ora parlano di perequazione. Però poi non se ne fa niente, semplicemente perché è difficile tornare indietro, a una società del lavoro dipendente, sfruttato ma organizzato e capace di difendersi, con un ceto medio che arriva in buca – diventa upper class – dopo una vita di lavoro. La società oggi è più liquida, transnazionale, virtuale e dominata dalla finanza (miliardi che passano di mano in un attimo, risparmiatori tosati, grandi ricchezze). “Eppure – scrive Franchi – una sinistra che non vive solo di passato dentro e fuori il Pd, in Italia c’è, più vasta di quanto si creda. E soprattutto, da noi e in Europa, di una sinistra, o più semplicemente di un nuovo punto di vista di sinistra che abbia un suo peso politico e culturale, c’è bisogno, anche per far fronte al dilagare dei populismi reazionari”. Ne scrivevo giusto ieri, nel caffè.
Se dieci anni vi sembran pochi. Luca Ricolfi si chiede, sul Sole di ieri, che bestia sia questa Lunga Recessione. Non è stata “un crollo con rapida ripresa, né una “caduta con ripresa lenta” e neppure “caduta, finta ripresa, nuova caduta”. “A giudicare dai segnali di rallentamento degli ultimi trimestri” potremmo andare in contro “a una nuova caduta” dopo una seconda finta ripresa. E poi c’è la dinamica dei prezzi che “dal 2012 non ha fatto che rallentare, ed ora sta entrando in regione negativa, a dispetto di tutte le politiche messe in atto per creare inflazione”. Ricolfi fa due osservazioni interessanti. La prima riguarda i prezzi:le politiche della FED e della BCE – dice – avrebbero in realtà funzionato, ma facendo crescere i prezzi sbagliati, asset finanziari, bolle speculative, prezzo delle case negli Stati Uniti, Regno Unito e Germania. La seconda è che forse “una crescita del 2% o del 3% è l’obbiettivo massimo che un’economia matura può realisticamente porsi”. Ma, ahi noi, il debito delle famiglie è continuato a crescere, “da 33 a 58 mila miliardi di dollari nel giro di appena 7anni, dal 2007 al 2014” e non possiamo indebitarci ulteriormente. Perciò non spendiamo.“Il benessere già raggiunto ha, poi, gravemente ridotto l’offerta potenziale di molti paesi”. Dunque? Non resterebbe che “produrre di più” per uscire dalla crisi. Peccato – osserva Ricolfi – che ciò richieda o governi che abbassano drasticamente i costi del produrre (con buone infrastrutture, poca burocrazia,basse imposte), o popolazioni disponibili a lunghi anni di sacrifici per migliorare la propria condizione”. Insomma o un ritorno, per noi italiani, alle condizioni di vita e di lavoro degli anni 50, oppure ritrarci in un angolo e sperare che la ripresa sia trascinata dai sacrifici e dalla voglia di riuscire degli immigrati. Che ne dite, cari amici? Vi sembra sempre così assurdo quello che vado scrivendo sulla necessità di cambiare radicalmente il modello economico? Oppure sperate ancora nella ripresa di Valls e Renzi?