Bernie Sanders l’idolo dei giovani, é il titolo scelto da Le Monde. Al buio, perché quando è stato fatto non si potevano conoscere i risultati del voto in New Hampshire, che sono arrivati solo nella tarda notte europea. Il senatore del Vermont ha compiuto 75 anni, si dice “socialista”, che in America fino a ieri voleva dire anti americano, non è presidenziabile a detta di tanti osservatori – persino del radical Paul Krugman -, eppure questa notte ha lasciato al palo Hilary Clinton, con un distacco che si aggira sui 20 punti percentuali. Certo, il New Hampshire è attaccato al suo Vermont, in North Carolina, dove si voterà il primo marzo, per lui sarà più dura: Eppure! Commentando il suo primo successo, Bernie poco fa ha ricordato di aver raccolto 3milioni e mezzo di donazioni individuali con un contributo medio di 27 dollari a testa. Hilary, alla domanda sui 657mila dollari ricevuti per una conferenza da Goldman Sachs ha invece risposto: “Non saprei, è una cifra che hanno offerto loro. Che io sappia tutti gli altri segretari di stato lo hanno fatto”. 657mila dollari per una comparsata, 3 milioni mezzo di americani che ti consegnano ciascuno 27 dollari. “Sanders – scrive Le Monde – propone la gratuità dell’istruzione superiore e una copertura sanitaria universale”. Davvero vi stupisce se tanti ragazzi che si sono formati dopo e dentro la crisi del 2007, che vivono ogni giorno scandalose disuguaglianze nel reddito, non si sentono più garantiti dal portafogli del padre ma scelgono di consumare in comune e chiedono di poter studiare per avere una chance, davvero vi meravigliate se i millennials stravedono per nonno Sanders? E poi Bernie può parlargli dei Beatles, di un Israele che, nel Kibbutz dove andò, metteva tutto in comune. Hilary, di cosa? Delle guerre in Iraq, di Wall Street, di Gordon Gekko che nel film di Oliver Stone – ormai un vecchio film, datato 1987 – dice “Il denaro non dorme mai”? Non dorme, infatti, e ricatta il mondo di quei ragazzi americani, che potrebbero persino contagiare i loro coetanei neri della North Carolina, per ora attribuiti al campo di Hilary.
In 40 giorni bruciati 40 miliardi, la Stampa dedica il titolo forte al martedì nero in borsa – dopo un lunedì nerissimo – per cui la piazza di Milano ha perso il 25% del suo valore dall’inizio dell’anno. Ma Renzi dice: “non siamo l’epicentro della crisi finanziaria”. Sì, importiamo la crisi dalla Cina, con i capitali che fuggono verso gli States, dai paesi non più emergenti per via del crollo del prezzo delle materie prime, ma le nostre banche avrebbero in pancia 200 miliardi circa di crediti difficilmente esigibili, e l’Europa chiede loro di finanziarsi e capitalizzare, per cui in futuro potrebbero comprare meno titoli del debito italiano – quei due milioni di miliardi che ogni settimana bisogna ricollocare, per tranche, e che le banche finora acquistavano con l’abbondanza di euro che la BCE dava loro. Non siamo l’epicentro della crisi ma potremmo diventarlo. Perché “il denaro che non dorme mai” e può fabbricare altro denaro speculando sul debito italiano e sull’insoddisfazione europea per una finanziaria (elettorale) che il premier ha fatto ballare sull’orlo del deficit. Scalfari, su Repubblica, torna a elogiare la proposta dei governatori delle banche centrali francese e tedesca, condivisa – dice – da Draghi, perché la zona euro si dia un ministro del tesori. Sul prossimo numero di Left, Paolo Guerrieri dice che non è poi una proposta così nuova: i banchieri centrali cercano un guardiano europeo del rigore tedesco. Massimo Florio osserva, però, come le politiche monetarie europea e americana tornino a divergere, come nel 2007 ma a parti invertire (ora Draghi pompa moneta e Yellen prova ad alzare i tassi), ecco perché servirebbe qualcuno legittimato a parlare con gli americani a nome dell’Europa dell’Euro.
Unioni, voto verità, dice Repubblica. “La linea di Renzi – fa eco il Corriere – no all’utero in affitto, sì alle unioni civili”. Per chi ne avesse voglia, ho riprodotto su questo blog l’intervento che ho tenuto ieri nell’aula del Senato. Penso come Massimo Gramellini – oggi ne scrive sulla Stampa – che non si possano negare a due omosessuali i quali convivono e si amano more uxorio gli stessi diritti riservati finora a una coppia eterosessuale unita in matrimonio. E che il figlio di una persona lesbica o di una persona gay abbia diritto ad essere accudito – portato a scuola, accompagnato in ospedale, qualora servisse – anche dal partner del genitore biologico, o di poterlo chiamare papà o mamma, senza doversi sentire un paria perché non ha la colpa di non convivere con un maschio e una femmina, ma con due maschi o con due femmine. Purtroppo il confronto si è spostato – per l’opportunismo dei partiti – da questa questione che riguarda i diritti, il contratto necessario per fondare una società libera e giusta, alla polemica sostanzialità su cosa debba essere in futuro della famiglia patriarcale, della procreazione, del rapporto dell’uomo con la sua natura. Natura che cambia, ma con tempi e modi che non si possono acchiappare in un dibattito politico mediatico arruffato e spesso sguaiato.
Il prode Anzaldi, corretto dai capi gruppo Pd di Camera e Senato ma non finora da Palazzo Chigi, ha detto che Campo Dall’Orto e la Maggioni, amministratore delegato e presidente della Rai, sono “arroganti”, tacciono e “hanno fatto peggio dei predecessori”. O si sono pentiti, lassù in alto, di averli nominati oppure la strigliata serve a mettere il vertice della Rai ancora più in riga. Come che sia, la riforma renziana si rivela una contro riforma, per ammissione dello stesso segretario, Anzaldi, della Commissione di Vigilanza. Sempre per Left, Freccero sostiene che l’ansia della politica di occupare ogni spazio televisivo e la tentazione della tv generalista di inseguire un vecchio pubblico ormai residuale, producono un intrattenimento e un’informazione sempre più volgari. Che abbia ragione?