Sala supera il test delle primarie, scrive il Corriere. 42,3% dei sessantamila votanti contro il 33,9% della Balzani e il 23% di Majorino. “Pisapia: adesso sosteniamolo tutti”, titola Repubblica. “La sinistra, divisa, aiuta Renzi”, constata la Stampa. Il quale Renzi dice ai giovani democratici, reduci da un corso di formazione, che ora servono primarie per eleggere il presidente della Commissione Europea e che gli elettori di destra non puzzano: “chi fa lo schifiltoso coi voti, perde”. Sulla seconda affermazione, ricama il Fatto che la traduce così: “Renzi. Viva Cuffaro&Verdini”. Sulla prima sembra intervenire il presidente emerito Napolitano, con un’intervista a Stefano Folli: “Renzi non escluda Merkel e popolari. É giusta l’ìdea del presidente della BCE Draghi di prevedere un ministro del tesoro europeo. Assecondare gli impulsi e le paure collettive rischiando di scivolare nel populismo è un rischio da cui guardarsi sempre”. Cosa aggiungere? Così come sono ordite, le primarie servono a regolare i conti del ceto politico. Ed è ragionevole che prevalga la scelta di Renzi, il quale occupa la casella centrale della politica italiana (Palazzo Chigi), si tiene lontano dai conflitti di corrente e pseudo ideologici, anzi usa i partiti come se fossero un taxi (la citazione gli rende fin troppo onore, visto che richiama la frase di un grande politico del “fare”, Enrico Mattei).
Che cosa vuole la sinistra? Non l’ho capito a Milano. Non lo capisco a Roma, dove Tocci non si candida, Fassina corre da solo, Marino ora tuona contro le primarie. Secondo me, davanti alla ormai evidente vittoria di Renzi, una sinistra avrebbe potuto scegliere: a) un ruolo di testimonianza che proiettasse il suo impegno oltre le elezioni amministrative, accettando la sfida del referendum di ottobre e dicendo che, nonostante i meriti del premier, è giusto rigettare il trasformismo renziano e riaprire un confronto sulle idee di sinistra; b) appoggiare liste e candidati civici (o anche della minoranza Pd) che avessero una qualche possibilità di battere il Sala di turno, tenendo separate la riflessione politico strategica dal voto amministrativo. Ma l’una e l’altra scelta presuppongono una certa confidenza nelle proprie idee e nella possibilità di affermarle nel medio periodo. Invece a me pare che ai nostri amici (scrivo amici con assoluta sincerità) questa fiducia manchi e che siano alla ricerca di scorciatoie: un’investitura popolare che li promuova leader (e quindi antagonisti credibili del rottamatore); un recinto che riunisca i giusti contro gli opportunisti (altro modo per affermare una leadership personale); l’illusione che il vecchio Pd possa uscire dal calderone del partito renziano. Le scorciatoie non servono. Senza dire agli italiani che bisognerà votare no al referendum di ottrobre contro la semplificazione della democrazia che Renzi impersona (Ainis, sul Corriere, propone di spacchettare in più quesiti il voto referendario per evitare il muro contro muro, ma non credo che la cosa abbia possibilità concrete di vedere la luce), senza aprire a Corbyn e Sanders, ai giovani millennials, a Iglesias e Tsipras per proporre una dura lotta contro le disuguaglianze e un diverso modello dei consumi, senza dare battaglia per un’Europa dei diritti, con una politica fiscale solidale e una politica per il Mediterraneo e il medio oriente, la sinistra non sarà. E molti continueranno a preferirle Renzi.
Cinquestelle: il diktat di Casaleggio, la Stampa titola così. All’indomani dell’elogio di Grillo all’autonomia del mandato parlamentare (ma solo per le unioni civili) si scopre che il co-fondatore del Movimento vuol far sottoscrivere una carta ai possibili candidati per le elezioni romane in cui si impegnino non solo a dimettersi, qualora dovessero trovarsi in contrasto con la linea (tutelata da Grillo, Casaleggio e dagli iscritti certificati in rete), ma anche a pagare una multa di 150mila euro per i danni causati. Che vi devo dire? Qui traspare una cosa chiara fin dagli esordi, nel 2013, dell’avventura politico-parlamentare dei 5 Stelle. I fondatori non si fidano dei “ragazzi” che hanno scelto. Probabilmente perché sanno che le procedure (esame del casellario giudiziario, impegno nelle realtà locali, disponibilità a restituire parte degli emolumenti ottenuti con l’elezione) non sono sufficienti a selezionare una classe politica degna di questo nome. Perciò pretendono assoluta fedeltà al marchio (che essi, fondatori, controllano) in modo da preservare i prescelti da se stessi e dalle tentazioni del mondo reale. Sic rebus stantibus il movimento proseguirà a essere quello che è: lo spauracchio che Renzi usa per giustificare il suo populismo al governo. Ma è persino possibile che con il doppio turno dell’Italicum, se la destra non si riorganizza prima, un Di Maio batta Renzi? Sì, è possibile. Solo che Renzi ha il vantaggio di poter scegliere il momento più adatto per andare al voto, o, se si mettesse brutta, persino di cambiare la legge elettorale.
Massimo Franco intervista il Papa. “Gli ortodossi, l’Europa, i muri cadranno uno dopo l’altro”, è il titolo del colloquio per il Corriere che ci presenta un Bergoglio niente affatto depresso, anzi “felicissimo”, che spiega il senso del suo realismo politico. Egli è convinto che l’ossessione identitaria porti alla sconfitta della ragione, del logos che, anche secondo Ratzinger, ispira la filosofia greca come i vangeli. Dunque dialogo, mano tesa, confronto: con ortodossi, cristiani protestanti, ebrei, musulmani sciiti e sunniti. Il Papa crede che la guerra mondiale – di cui ha parlato – non sia “a pezzi ma proprio una guerra, che si fa agendo sull’economia, col traffico delle armi, e facendo la guerra contro la nostra casa comune, che è la natura”. Il modello di sviluppo positivista e lo strapotere capitalista sono, per lui, i nemici dell’uomo e del suo ambiente (se volessimo ricamarci su, potremmo dire che l’attacco alla famiglia cristiana non muove tanto dalla soggettività di gay, lesbiche, transessuali, divorziati e nemmeno dai preti che desiderano sposarsi, ma piuttosto dal consumismo, dall’invadenza del messaggio pubblicitario, dalla banalizzazione commerciale del sesso). In questo mondo diviso tra reazione (paurosa) e rivoluzione (inquietante), il cristiano non può porsi per Francesco – come avviene dal tempo di Costantino – in difesa dell’impero, cioè dell’ordine costituito. Nè può rifiutare di camminare tenendo per mano anche chi è molto diverso. Emma Bonino? “É la persona che conosce meglio l’Africa. E ha offerto il miglior servizio all’Italia per conoscere l’Africa. Mi dicono: è gente che la pensa in modo molto diverso da noi. Vero, ma pazienza. Bisogna guardare alle persone, a quello che fanno”. Parola di Bergoglio.