Il papa frena le unioni civili. Renzi: si va avanti. Per Repubblica, due leader a confronto, Renzi e Bergoglio. Corriere, più prudente, scrive di un “Richiamo del Papa”. Stampa riporta, tra virgolette, le parole usate da Francesco ha nell’incontro con gli avvocati della Sacra Rota: “Unioni e famiglia, basta confusioni”. Se si passa ai commenti, interpretazioni e giudizi si fanno più sfumati. Ecco che Vito Mancuso, per Repubblica, osserva come Bergoglio non abbia “sorpreso nessuno” ripetendo una cosa che qualunque il suo predecessore aveva già detto o avrebbe potuto dire. La famiglia cattolica si fonda sul nesso inestricabile tra sessualità e riproduzione, la vita non è dell’uomo ma un dono di Dio. Certo, Mancuso obietta che il concetto di famiglia, già nell’antichità, si riferiva non solo alla coppia eterosessuale e ai figli, ma comprendeva l’insieme degli individui (compresi i servi) che vivessero sotto lo stesso tetto. Certo – sottolinea Mancuso – il Bergoglio che la voluto un Giubileo della Misericordia o che ha detto “Chi sono io per giudicare” non è lo stesso Papa che ora vuol tenere lontani omosessuali e figli di omosessuali dal vincolo familiare.
Parole nette ma caute, quelle del Papa, secondo Massimo Franco. “Francesco non vuole un muro contro muro”. Perché – scrive il commentatore del Corriere – sa bene che la destra, dalla Lega e della Meloni, guiderà sabato prossimo la marcia del family day e perché “costringere lo schema della famiglia in schemi troppo integralisti contraddirebbe i suoi stessi (di Bergoglio) insegnamenti”. Sulla Stampa Marcello Sorgi riconduce le parole del Papa alla preoccupazione che le unioni gay possano entrare nel nostro ordinamento in modo confuso e imprevedibile, dopo che – e qui Sorgi critica Renzi – “il governo ha preferito farsi da parte”, lasciando che il provvedimento arrivasse in aula “senza relatore: un vascello alla deriva, senza nessuno che si assuma il compito di spiegarlo ai senatori, discutere eventuali emendamenti, difenderlo o correggerlo, cercando il compromesso che fin qui non è stato individuato”. Il manifesto titola sulle manifestazioni arcobaleno di oggi “Family gay”.
Come back India. Il prodotto interno lordo indiano superava quello europeo, prima che il paese finisse sotto il tallone dell’imperialismo britannico. Oggi Piketty, su Repubblica, parla dell’India come della nuova possibile “locomotiva dell’economia”. Prevede, cioè, che presto supererà la Cina per numero di abitanti e capacità produttiva, e addirittura gli Stati Uniti per il prodotto interno lordo. L’economista si chiede, tuttavia, quanto il sistema delle caste e la concentrazione di una ricchezza immensa in pochissime mani possa frenare questa ascesa.. Sulla Stampa, Carlo Pizzati racconta la scelta del premier, Modi, di imporre l’hindi, accanto all’inglese o in sostituzione dell’inglese, come lingua nazionale. Tuttavia la maggior parte della popolazione non lo parla e dunque – dice Pizzati – “l’India multiculturale si rivolta”.
Occhio anche alla Spagna. “Rajoy si ritira – scrive El Pais – e sfida Sanchez e Iglesias a formare un governo”. In realtà il leader della destra non si è proprio ritirato, ha detto al Re di non avere, per il momento, la maggioranza necessaria ma ha lasciata aperta la possibilità di tornare in pista se fallisse il dialogo a sinistra tra PSOE e Podemos. Sanchez, il socialista, è prudente ma vuole provarci e dice: “Gli elettori non capirebbero se PSOE e Podemos non cercassero l’intesa”. Si rivolge in particolari ai leader regionali del suo partito, come la presidente dell’Andalusia Susana Diaz, contrari all’accordo con Podemos, primo partito in Catalogna e favorevole a un referendum sull’indipendenza della regione. Iglesias, Podemos, va dal Re in jeans e maniche di camicia, dice sì al governo di izquierda, si propone come vice presidente del consiglio. Situazione complicata, ma molto, molto interessante.
Si chiama Igor Sergun, è una top spia russa e, secondo Financial Times, Putin lo ha mandato in Siria per ottenere che Assad si dimetta. Naturalmente il Cremlino smentisce, ma la Sira è in situazione di stallo. Certo, l’intervento russo ha scongiurato la caduta di Assad e indebolito i gruppi islamisti legati all’Arabia Saudita. Certo, Daesh perde posizioni. Ma la guerra non può finire senza che si intraveda una soluzione politica per il dopo. Comunque il ruolo del playmaker, per i suoi rapporti che ha con l’Iran e per la presenza sul terreno delle sue truppe, sembra toccare proprio a Putin, che Gran Bretagna e Occidente hanno messo, tardivamente, sotto accusa per l’omicidio Litvinenko e il disprezzo dei diritti umani.