Contagio globale, panico, tempesta sulle borse, Milano affonda. É un titolo dei titoli, Stampa più Corriere più Repubblica. Per raccontare una cosa, in realtà, semplice e prevedibile. Seppure imprevista, perché a forza di conflitti d’interesse, i cosiddetti esperti si esercitano ormai più nell’arte degli scongiuri che della previsione. C’è una locomotiva del mondo, la Cina, che deve per forza rallentare la sua corsa se non vuole esplodere per surriscaldamento, vale a dire per le conseguenze disastrose del suo modello produttivo sull’ambiente e la qualità della vita. C’è una distribuzione della ricchezza disuguale come al tempo dei Faraoni, per cui solo 62 persone posseggono la stessa ricchezza della metà meno favorita della popolazione mondiale. Per questo il ceto medio, grande protagonista dei consumi di massa negli ultimo 70 anni, teme ora la decadenza, è assai meno ottimista sul futuro dei figli, tende a spendere meno. Il prezzo del petrolio crolla – il barile costava ieri meno di 27 dollari – perché, dopo decenni di dipendenza, gli Stati Uniti hanno preso a produrne con tecniche nuove, shale oil, o a differenziare le fonti energetiche, mentre sta tornando sulla scena, cadute le sanzioni, un grande produttore come l’Iran, e l’Arabia svende il suo greggio per non perdere mercati e difendersi dalla crisi di legittimazione (Isis, Sciiti) che investe la monarchia saudita (con il petrolio crollano i prezzi delle materie prime e ciò inguaia non pochi paesi emergenti). In tale contesto, l’enorme massa di denaro immessa sul mercato dalle banche centrali non riesce più a muovere i prezzi verso l’alto, né a creare artificiosamente la febbre da investimenti, finendo per alimentare bolle speculative che si sgonfiano sempre più in fretta. Se ne può uscire? Certo. Con una diversa, e meno iniqua, distribuzione del reddito su scala mondiale? Con una bella guerra che distrugga risorse, traini gli investimenti con la spesa militare, provochi il rialzo del prezzo del petrolio? Con una nuova svalutazione del lavoro nei paesi ricchi, eliminando ogni tutela, imponendo il precariato e l’estendersi di condizioni servili? Con un nuovo ordine mondiale che gestisca la decadenza, provi a sanare le ferite, programmi le scelte fondamentali dell’umanità? Risposte a croce. Altrimenti ci terremo a lungo l’attuale quasi crescita e quasi stagnazione dei prezzi.
Il family day prenota il circo massimo, per la manifestazione del 30, e il manifesto titola: “Stadio di famiglia”. Resta da vedere se la manifestazione non si rivelerà un boomerang per la chiesa che la sta appoggiando. In modo esplicito con il cardinal Bagnasco, in modo più prudente con i vescovi di nuovo conio, diciamo “francescano”. In effetti il Giubileo della Misericordia, con l’appello all’unità delle religioni monoteiste, con l’apertura ai non credenti, con il “chi sono io per giudicare?” detto dal Papa a proposito dei fedeli omosessuali, tutto ciò mal si concilierebbe con toni da crociata, con il tentativo di scavare un fossato a protezione della famiglia patriarcale, (un uomo, una donna e la trasmissione dell’eredità ai figli), con il rifiuto della sessualità non più indissolubile dalla procreazione. La chiesa di Francesco vorrebbe mostrarsi tollerante, e dunque aprirsi, ma teme di essere trascinata verso stili di vita che rompano l’ordine millenario su cui ha fondato la sua identità. Dall’altra parte i laici di governo, credendosi furbi, hanno fatto qualche pasticcio. Perché chiamando unione civile il matrimonio fra due persone dello stesso sesso, scrivendo che si stratta di formazione sociale specifica, definendo Stepchild adoption la genitorialità del partner di una madre o di un padre omosessuale, hanno dato l’idea di voler usare la legge Cirinnà come un cavallo di troia da inserire nella città assediata dei valori tradizionali per poi espugnarla. Molto meglio sarebbe stato muoversi sulla scia della Suprema Corte degli States, che non prescrive come dovrà essere la famiglia nel terzo millennio né cosa saranno in futuro i rapporti sessuali e sentimentali, ma interviene solo sul terreno dei diritti: se io chiamo matrimonio il rapporto sentimentale e affettivo tra un uomo e una donna, non posso negare lo stesso diritto a due uomini o a due donne. Se ogni bambino ha il diritto di essere accudito da due genitori, non si può negare l’identico diritto a un minore il cui padre, o la cui madre, convivano con una persona del loro stesso sesso. Semplice: non impone valori, tutela diritti.
Renzi e il discorso della corona. Mettendo per una volta da parte la sua abituale modestia, ieri il premier ha rivendicato per i suoi due anni di governo “il più grande progresso politico mai realizzato”. E ha lanciato ufficialmente il referendum di ottobre, chiedendo “al popolo” di dire sì alle riforme contro l’immobilismo, alla speranza contro chi sostiene che non si può fare, a Renzi contro i gufi, alla politica del governo contro le lungaggini del parlamento. La legge costituzionale – per chi volesse ho riprodotto su questo blog il mio intervento molto critico – è stata approvata con 180 voti a favore, 19 di più di quelli necessari. L’hanno votata tutti i senatori del Pd, tranne Walter Tocci, i 17 verdiniani, Bisinella e gli amici del sindaco Tosi usciti dalla lega, un paio di ex grillini, un paio di Forza Italia. Non c’è che dire, Renzi ha trionfato sulla dissidenza interna al Pd – convertendo Chiti e convincendo Gotor che la battaglia è sempre un’altra e si farà domani -, ha saputo costruire una maggioranza trasformista, con fuoriusciti di ogni bandiera, idraulici verdiniani e orfani del padre (Berlusconi) come l’ex ministro Bondi, ed è riuscito persino a mediare nella lotta tra dame, tanto che ieri Boschi e Finocchiaro si sono persino baciate. L’altra faccia di questo notevole successo è una spavalderia che sfiora l’arroganza, un sistema di clienti, fedeli e fedelissimi che preoccupa persino Repubblica (da leggere “Calenda, Carrai e quelle nuove nomine”), una spregiudicata polemica con l’Europa che se può regalare qualche consenso elettorale, diffonde all’estero la sensazione che il premier non sia affidabile. La battaglia per il no al referendum diventa decisiva, se saprà non apparire nostalgica, né residuale o impolitica.