Invito alla calma dei leader occidentali, “dopo l’esecuzione ad opera dei Sauditi di un religioso sciita”. Ci vuole il Financial Times per narrare la paura del dire, il timore di agire in modo precipitoso, che è scoppiata nelle cancellerie d’Europa e d’America. L’Arabia Saudita, dopo aver lanciato lei il missile, ammazzando il leader della sua minoranza sciita, ora si finge indignata perché a Teheran hanno preso d’assalto il suo consolato e perché “la guida suprema” Khamenei ha evocato “la vendetta divina”, e rompe ogni relazione con l’Iran.
Venti di guerra tra Arabia e Iran, scrive la Stampa. “L’Arabia rompe con l’Iran”, fa eco il Corriere. Repubblica sbatte in prima pagina la fotografia del nuovo boia mascherato (e di lingua inglese) del Daesh e titola: “L’Iran accusa: Sauditi come il Califfo”. Maurizio Molinari, che ieri aveva stranamente sottovalutato la notizia, oggi ammette che “è l’Arabia Saudita di re Salman a guidare l’escalation in corso perché percepisce che è l’Iran di Hassan Rouhani ad avere il vento a favore grazie all’alleanza militare con la Russia di Vladimir Putin in Siria, all’accordo con la comunità internazionale che legittima il proprio programma nucleare ed alla crescente intesa con l’America di Barack Obama”. E racconta un mondo sunnita in preda a una crisi di nervi: “Dal Cairo Said Allawndi, voce di spicco del Centro di studi strategici di «Al Ahram», afferma che «l’Iran è diventato uno strumento degli Stati Uniti intenzionati a destabilizzare l’intero mondo arabo» paventando dunque un complotto internazionale contro i sunniti. Da Ankara il presidente turco Recep Tayyip Erdogan afferma che «in questo momento abbiamo bisogno anche di Israele», ovvero anche di un Paese finora definito «diabolico», visto che incombe lo scontro con gli sciiti”. Si scannino, restiamo a guardare; è questo il senso? E no, se Europa e States non abbandoneranno wahabiti-sauditi e non raffredderanno il sogno imperiale di Erdogan, il rischio di una guerra globale sarà concreto.
Crescita lenta, lontani dai livelli del 2008. Il Corriere dà conto dei dati Eurostat. Produzione industriale, tasso di disoccupazione, giovani senza lavoro: rispetto ai numeri del 2008, prima della crisi, l’Italia ha recuperato meno di Francia, Germania e Regno Unito. Ma il governo obietta che da noi la fiducia è cresciuta più che altrove. Effetto Renzi, il quale oggi sale (in borsa) sulla Ferrari accanto a Marchionne e si presenta in un’intervista alla Stampa come la misura del riscatto italiano. “Dopo anni di grigiume…l’Italia riparte”, “ho un ottimo rapporto con Junker, nessuna polemica fra me e Angela (Merkel), ma con Renzi “mai più un’Italia con il cappello in mano”. L’ottimismo della (propria) volontà, insomma, senza il pessimismo della ragione. Interviene Dario De Vico (Corriere) a spiegare che il confronto con il 2008 non ha senso, che la ripresa in atto non ci porterà a produrre tante auto come un tempo, né vedremo altrettanti Tir in circolazione, né lo stesso numero di impianti industriali che lavorano a pieno regime. La ripresa è selettiva. Vero, il governo lo ammetta!
Il paradigma eterosessuale crea ormai incostituzionalità scrive Stefano Rodotà per Repubblica, ricordando numerose sentenze della Corte Costituzionale e della Corte Europea dei Diritti dell’uomo che non consentirebbero – e renderebbero ridicolo – il tentativo della maggioranza in Senato di ridurre “le unioni civili” a “formazioni sociali specifiche” e di trasformare l’adozione del figlio del partner “in un affido rinforzato”. “L’ora del coraggio per i diritti civili”, è il titolo del bel saggio di Rodotà. E a proposito di diritti, il Fatto ricorda che stanno per nascere i “comitati per il no al referendum costituzionale”, con Zagrebelsky, Rodotà, Pace, Gallo, Grandi, Carlassare, Azzariti, Villone, Besostri e Ferrara. Buon vento.