Niente allarmismi, il prossimo tornado ripulirà tutto. L’uomo con la maschera antismog che Altan disegna sulla prima pagina di Repubblica, commenta come meglio non si potrebbe la soap opera sulle polveri fini, sui blocchi alla circolazione decisi dai sindaci, sul piano partorito ieri dal governo. “Uffici meno caldi e auto più lente”, dettaglia il Corriere. Repubblica lo definisce “Piano anti consumi”. “Velocità ridotta”, insiste la Stampa. Ma è “una buffonata” obietta il Fatto: “le auto ai 30 all’ora inquinano di più”. Il Giornale guarda alle multe: “Renzi tassa pure lo smog”. Per carità niente di male, evitare furiose accelerazioni quando si guida in città, 2 gradi in meno e un maglioncino in ufficio, semplice buon senso.
Suggerisco a Galletti di andare a San Pietro e di mettersi a pregare perché piova. Sbotta, tuttavia, su Repubblica Michele Emiliano. E spiega: “Il governo Renzi ci ha sfilato qualcosa come 230 milioni di fondi europei per finanziare il Jobs act. Adesso scoppia l’emergenza legata al pm10 e mettono a disposizione di tutto il Belpaese questi 12 milioni, dopo che ne hanno tolto 60 a una regione del sud per fare le stesse cose. Che commento volete che io possa fare?” Ha ragione il governatore della Puglia: 12 milioni, “un euro a testa scarso” – scrive Stella sul Corriere – perché “a dividere i 12 milioni stanziati ieri dal governo per spingere la gente a usare i mezzi pubblici tra gli italiani che vivono in città asfissiate dallo smog, vien fuori un’elemosina.” “É stato – quello del governo con gli enti locali – un vertice tampone”, dice Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente della Camera. “Occorre una visione, aggiunge, che non riguarda solo la salute dei cittadini ma un’idea dei ceconomia”. Quella idea ce l’hanno – prosegue – i 120mila milanesi – che usano il car sharing.
Nuovi gufi avanzano. Non i soliti, quelli che Renzi ha asfaltato imponendo Italicum, Jobs act, riforma costituzionale e della scuola. No, sono politici di maggioranza, come Emiliano, e commentatori borghesi, come Dario Di Vico. “La svolta che ancora non c’è”, titola in apertura il Corriere. E Di Vico spiega che il Pm10 positivo del PIL nel 2015 è stato in gran parte causato dalla scelta, inevitabile, delle famiglie che hanno dovuto sostituire la vecchia auto. L’edilizia, nonostante il rimbalzo dell’8,4% delle compravendite segnalato ieri dall’Istat, continua a deludere. Non serve sognare a occhi aperti un ritorno alla crescita impetuosa degli anni 60, servono “una visione” dello sviluppo possibile, hic et nunc, e misure coerenti.
Da Molembeek è Paris, Le Monde, con la data di oggi ma in edicola da ieri pomeriggio, racconta le telefonate intercorse fra i terroristi del 13 novembre e un cellulare in Belgio e pubblica la testimonianza di uno degli ostaggi del Bataclan. I giornali italiani riprendono a accompagnano con servizi sul turismo che ristagna, sulla paura. Sono appena tornato da Parigi. Più che paura, mi sembra consapevolezza e bisogno di riflettere. Se ne parla molto nei caffè e per le strade, ma a voce bassa, tenendo a freno le passioni, rifiutando soluzioni sguaiate. Un taxista musulmano, nato in Francia 56 anni fa da genitori magrebini, mi dice che bisogna combatterli questi assassini, che dopotutto sono dei vigliacchi, gente da niente. A leggerlo su Le Monde, il racconto del Bataclan conferma la tesi del tassista. Avevano paura di morire, a tratti si facevano forza infierendo vomitando ferocia sugli ostaggi, ma cercavano di trattare con la polizia senza davvero crederci. Uomini promessi alla morte, disorientati, senza ormai via di scampo. Pure la regia (belga) degli attentati, più che un capolavoro di strategia assassina, mi è sembrata, leggendo il resoconto, piuttosto il tentativo di farli colpire comunque (e morire) quegli 8 “martiri” predestinati. Dopo che l’obiettivo primario, lo Stade de France con 70mila spettatori e Hollande in trubuna, era stato raté. Un avversario che possiamo battere. Più debole, in quanto il mito dello Stato Islamico tra Siria e Iraq viene messo a dura prova dall’offensiva di Curdi, Siriani, Iracheni e dai bonbardamenti russi e americani. Forse in futuro ancora più feroce, perché disperato, ma destinato a perdere.