Niente di nuovo sotto il sole. Come Massimo D’Alema, anche Matteo Renzi ama sedersi nel salotto di Porta a Porta, come Silvio Berlusconi anche Renzi comunica le scelte di governo prima a Vespa e poi al Parlamento. Tranquillo Vespa, “chi ha truffato pagherà” ha detto il premier. E poche ore dopo Repubblica titola: “Bankitalia e Consob, il governo prepara la nuova vigilanza”. “Non abbiamo fatto favoritismi”, ha proseguito il premier a Porta a Porta. Al contrario “abbiamo mandato a casa l’intero CdA in cui c’era il padre di Boschi; il CdA è stato sanzionato e il padre ha pagato una sanzione. La legge è uguale per tutti”. Per la verità notano le opposizioni come la sanzione sia stata comminata da Banca Italia e il governo sia semmai intervenuto a rimorchio. Ma non basta. “Quale conflitto d’interessi” – si è chiesto il premier – “Da quello che si legge dalla dichiarazione patrimoniale, anche il ministro Boschi è azionista di Banca Etruria per qualche migliaio di euro e il suo valore è stato azzerato come per tutti”. Quanto alle mozioni di sfiducia: ben vengano, “sono un autogol”.
Stai dunque serena Maria Elena, ma il retroscenista della Stampa descrive la ministra “Imbufalita”, pronta a sfidare le opposizioni sulla sfiducia anche in Senato. Un bel voto e non se ne parli più. Ma non è così facile: Maria Teresa Meli spiega, per il Corriere, che sì, Renzi considera un “boomerang” la sfiducia che sarà votata anche da Forza Italia, ma “il leader Pd – ammette la retroscenista – è preoccupato per l’impatto sui consensi”. Così Stefano Folli, Repubblica, coglie “il segnale che forse il logoramento del governo è cominciato, dopo quasi due anni di sostanziale bonaccia”. “L’impressione è – aggiunge – che sulle banche il governo si sia mosso all’inizio in modo superficiale, forse senza rendersi conto della portata devastante dello scandalo. D’altra parte la vicenda è un intreccio di potere proprio nel cuore dell’Italia centrale “rossa”. Si veda la prudenza della minoranza Pd. Ma il logoramento è nell’aria. Non farsene travolgere, rintuzzandolo, è ormai una delle priorità di Renzi”.
L’Italia è pronta a fare di più contro il Califfato – aveva detto Obama – “e lo farà in una area ad alto rischio”. Tutto vero. Ne ha dato conferma il premier, naturalmente da Vespa. L’Italia sta per mandare 450 militari a Mosul, per presidiare la diga appena strappata dai Curdi alle milizie del Daesh. “Si tratta di un intervento strategico”, spiega Paolo Gentiloni al Corriere, come strategico sarà l’intervento italiano in Libia, quando le fazioni di Tripoli e Tobruk avranno trovato uno straccio d’intesa. Assumiamo che non ci sia altro da fare. Ma se alla fine noi italiani – che per Costituzione rifiutiamo la guerra – questa volta decidiamo di infilarci in una “guerra giusta” contro i fascisti del califfato, e se questa guerra abbiamo deciso di giocarla sul terreno e non solo “bombardando” – come gli Stati Uniti – e tantomeno “a rimorchio di altri”, perché allora non averne discusso in Parlamento, magari suscitando un dibattito come quello che si è svolto alla Camera dei Comuni, con per protagonisti Cameron, ma anche due leader laburisti che difendevano ragioni differenti, Corbyn e Benn? No, Vespa!
Contro Isis e Iran, nasce la coalizione saudita, lo scrive Maurizio Molinari, prossimo direttore della Stampa. Come vi sto raccontando da tempo, Daesh sta perdendo la guerra in Siria: oggi lo racconta Lorenzo Cremonesi, ottimo inviato del Corriere tra i Curdi. Ecco che per evitare che Russi, Sciiti iraniani e iracheni, curdi e siriani alawiti si spartiscano le spoglie dell’ex (sedicente) Stato Islamico, ecco che gli sceicchi sauditi (e wahabiti) mettono insieme una coalizione di 34 stati sunniti, dalla Turchia al Marocco, dall’Egitto al Pakistan. Esclusi coloro che hanno buoni rapporti con l’Iran, fuori Irak, Curdi e Oman che ha favorito il negoziato sul nucleare con gli Stati Uniti. Avremo dunque due coalizioni, contro Al Bagdadi e in conflitto tra loro, una russo-iraniana, una turca-saudita. E noi, con chi stiamo? Perché in Medio Oriente il problema non è vincere le guerre, quanto poi gestire la pace. E ormai dovremmo sapere che le radici del terrorismo islamico e anti illuminista emanano dal settarismo wahabita, coltivato dai sovrani saudita. Ucciso Bin Laden e piegata Al Qaeda, è stata la volta di Al Bagdadi e del Daesh. Battuto il califfato, qualcun altro verrà.
Mentre ascoltavo il lungo discorso del premier alla Leopolda – scrive per Repubblica Saviano – “la mia attenzione è stata catturata da una frase detta con leggerezza, quasi con disattenzione: Quindici mesi fa il mio babbo – ha detto Renzi – è stato indagato e gli è crollato il mondo addosso. La procura ha chiesto l’archiviazione del suo caso, ma lui passerà il suo secondo Natale da indagato. Io gli ho detto “zitto e aspetta”. Ma lui mi dice che dovremmo passare al contrattacco, io, però, non dirò mezza parola, perché ho fiducia nella giustizia». Non so se ho capito bene (prosegue Saviano) – anche se è tutto piuttosto chiaro – ma il premier riferisce che suo padre, per una vicenda giudiziaria personale, avrebbe detto «dovremmo passare al contrattacco». «Dovremmo» chi? Viene da chiedersi. Perché il premier si sente coinvolto nella strategia difensiva di suo padre? A che titolo dovrebbe eventualmente dire quella «mezza parola»? E a chi?”. Familismo e conflitto d’interese, denunciati stavolta non da sciacalli o da oppositori frustrati, ma ammessi dallo stesso presidente del consiglio che, quando si lascia andare, è il peggior nemico di se stesso.